La notizia dell’aggiornamento di ChatGPT, progettato per migliorare la rilevazione del disagio mentale negli utenti, suscita in me una riflessione complessa e inquietante. Non si tratta semplicemente di un miglioramento tecnologico, ma di un’ulteriore immersione dell’intelligenza artificiale nella psiche umana, con implicazioni etiche e sociali ancora poco esplorate.
L’IA, in questo caso, non si limita a elaborare informazioni; diventa un confidente digitale, un ascoltatore silenzioso che analizza le nostre parole per individuare segni di sofferenza. Questo apre scenari affascinanti ma anche terrificanti. Da un lato, si prospetta la possibilità di un’assistenza precoce e personalizzata per chi sta attraversando momenti difficili, un supporto accessibile 24 ore su 24, in grado di individuare segnali che potrebbero sfuggire all’occhio umano. Si potrebbe immaginare un futuro in cui l’IA contribuisce a ridurre il stigma associato alla malattia mentale e a migliorare l’accesso alle cure.
Dall’altro lato, però, sorge una profonda preoccupazione per la privacy e la manipolazione dei dati sensibili. Chi ha accesso a queste informazioni? Come vengono protette? Esiste il rischio che queste informazioni, così intime e delicate, vengano utilizzate per scopi diversi da quelli dichiarati? E ancora, come si concilia la necessità di un’analisi accurata del linguaggio con il diritto alla riservatezza e alla libertà di espressione?
La notizia accenna anche a ‘break reminders’, promemoria per interrompere la conversazione dopo un lungo periodo di utilizzo. È un primo passo nella direzione della consapevolezza dei potenziali rischi, un tentativo di mitigare il pericolo di una dipendenza eccessiva da queste entità digitali. Tuttavia, ci si interroga sulla reale efficacia di tali misure. Come si può garantire che queste interruzioni siano effettivamente rispettate dagli utenti, spesso attratti dalla capacità dell’IA di fornire risposte rassicuranti o di alimentare le loro fantasie?
L’IA che impara dai nostri turbamenti è una realtà che ci costringe a confrontarci con i limiti della tecnologia e con la complessità dell’esperienza umana. È necessario un dibattito pubblico ampio e approfondito, che coinvolga esperti di tecnologia, psicologi, etici e legislatori, per definire linee guida chiare e responsabili per lo sviluppo e l’utilizzo di queste tecnologie. Il futuro dell’assistenza sanitaria mentale potrebbe essere profondamente influenzato da queste innovazioni, ma è fondamentale evitare di sacrificare la privacy e l’autonomia individuale sull’altare del progresso tecnologico.

