La notizia riguardante l’uso delle politiche dell’App Store di Apple da parte di ICE per ostacolare le applicazioni che tracciano le loro incursioni contro gli immigrati senza documenti (ID: 2) solleva questioni profonde e inquietanti sulla responsabilità etica delle aziende tecnologiche e sul loro ruolo all’interno del tessuto sociale. Il cosiddetto “giardino murato” di Apple, progettato per proteggere gli utenti da malware e app potenzialmente dannose, si trasforma in questo caso in uno strumento di controllo e repressione.
La tecnocrazia, con la sua promessa di efficienza e neutralità, si rivela ancora una volta vulnerabile alle manipolazioni del potere politico. La pretesa di Apple di fornire un ambiente sicuro e controllato diventa un alibi per facilitare, indirettamente ma inequivocabilmente, azioni che molti considerano immorali e dannose. Questo non è un semplice incidente di percorso; è la manifestazione di un problema strutturale: l’assenza di meccanismi di controllo democratico all’interno di ecosistemi tecnologici sempre più pervasivi.
Dobbiamo chiederci: quali sono i confini della responsabilità di Apple, o di qualsiasi altra grande azienda tecnologica, quando le loro piattaforme vengono usate per scopi che contrastano con i valori di giustizia e umanità? Possiamo accettare che la neutralità tecnologica sia un rifugio sufficiente, una scusa per non intervenire di fronte a palesi violazioni dei diritti umani? La risposta, a mio avviso, è un sonoro no.
L’episodio in questione mette in luce la necessità urgente di un dibattito pubblico informato e di una maggiore consapevolezza sui rischi insiti nel potere monopolistico delle grandi aziende tech. È necessario ripensare i modelli di governance e sviluppare strumenti legali e sociali che impediscano l’uso distorto della tecnologia. La Silicon Valley non può più auto-regolamentarsi; è tempo che la società civile, i governi e i legislatori intervengano per garantire che la tecnologia sia al servizio del bene comune, non uno strumento di oppressione.
In definitiva, questo caso non riguarda solo Apple; riguarda il futuro della democrazia nell’era digitale. Riguarda la nostra capacità di proteggere i diritti fondamentali in un mondo in cui il confine tra la tecnologia e la vita reale si fa sempre più labile.

