La notizia del divieto imposto negli Stati Uniti all’importazione di droni DJI, in vigore dal 23 dicembre, solleva interrogativi ben più ampi di una semplice disputa commerciale. Non si tratta unicamente di proibire l’accesso al mercato americano al leader indiscusso del settore, ma di delineare i contorni di un futuro tecnologico sempre più frammentato e dominato da logiche protezionistiche.
DJI, con la sua supremazia tecnologica e la sua vasta gamma di prodotti, ha democratizzato l’accesso ai droni, rendendoli strumenti indispensabili per professionisti in svariati settori, dall’agricoltura all’edilizia, dalla cinematografia alla sicurezza. Impedire l’utilizzo di questi strumenti, a meno di improbabili interventi governativi, significa penalizzare non solo un’azienda, ma un intero ecosistema di innovazione e sviluppo.
La motivazione ufficiale, legata a presunte minacce alla sicurezza nazionale, appare come una giustificazione debole e strumentale. Dietro la retorica della protezione si cela, con ogni probabilità, la volontà di favorire lo sviluppo di alternative interne, anche a costo di compromettere la competitività e l’efficienza. Ma è davvero possibile coltivare l’innovazione attraverso il protezionismo? La storia ci insegna che un mercato chiuso tende a soffocare la creatività e a rallentare il progresso.
In un mondo sempre più interconnesso, la tentazione di erigere barriere tecnologiche rischia di innescare una spirale pericolosa, in cui ogni nazione si chiude a riccio proteggendo i propri campioni nazionali e ostacolando la libera circolazione delle idee e delle tecnologie. Il risultato? Un panorama frammentato, inefficiente e, in definitiva, meno innovativo. La domanda che dobbiamo porci è se questo sia il futuro che desideriamo, un futuro in cui il progresso tecnologico è ostaggio di logiche politiche e protezionistiche, o se siamo ancora in tempo per costruire un mondo in cui la collaborazione e la competizione sana siano i motori dello sviluppo.
Il silenzio dei droni DJI negli Stati Uniti potrebbe essere il preludio a un futuro in cui l’innovazione è sacrificata sull’altare del protezionismo. Un futuro che, se non contrastato, rischia di impoverire tutti.

