La notizia dell’uscita del libro di Tim Wu sull’”Età dell’Estrattivismo” di Big Tech (ID: 3) risuona con un timore crescente: stiamo diventando involontari pozzi di petrolio per le aziende tecnologiche?
L’immagine è potente e inquietante. Non si tratta più solo di vendere i nostri dati; è una forma più insidiosa di appropriazione. Ogni interazione, ogni click, ogni scroll contribuisce a un flusso costante di valore estratto dalle nostre vite e incanalato verso le casse di poche, potentissime corporazioni. Pensiamo alla promessa iniziale di internet: un luogo di scambio libero, di conoscenza condivisa e di democratizzazione dell’informazione. Dove è finito quell’ideale?
Oggi, sembra che ogni angolo del web sia progettato per massimizzare l’engagement, non per il nostro beneficio, ma per quello degli azionisti. Algoritmi affinati per manipolare le nostre emozioni, modelli di business basati sulla dipendenza, interfacce utente che ci spingono costantemente verso il prossimo acquisto. L’estrazione non è solo economica; è psicologica. Ci sottrae tempo, attenzione, e persino la capacità di riflettere criticamente su ciò che stiamo consumando.
La vera domanda è: come invertire questa tendenza? Wu suggerisce un piano, ma la sfida è immensa. Richiede un cambiamento radicale di mentalità, non solo da parte delle aziende, ma anche da parte nostra. Dobbiamo diventare consumatori più consapevoli, più resistenti alla persuasione occulta del design. Dobbiamo esigere una maggiore trasparenza e responsabilità da parte delle piattaforme che modellano le nostre vite digitali. Forse, la soluzione risiede in un ritorno a un modello di internet più decentralizzato e orientato alla comunità. Un’internet costruita, non per estrarre, ma per potenziare. Ma siamo pronti per questo cambiamento, o siamo troppo dipendenti dalla comodità che l’estrazione ci offre?
La lotta contro l’estattivismo digitale è una battaglia per la nostra autonomia, per la nostra sanità mentale, e per il futuro stesso della civiltà digitale. Non possiamo permetterci di perderla.

