L’annuncio di HBO Max che introduce un sistema di valutazione dei contenuti con pulsanti “Amo”, “Mi Piace” o “Non fa per me” solleva una questione più ampia: stiamo diventando sempre più dipendenti dal feedback immediato e semplificato, e cosa significa questo per la nostra esperienza culturale?
In un’epoca dominata dagli algoritmi, il nostro gusto viene costantemente profilato e manipolato. I sistemi di raccomandazione, pur offrendo comodità, rischiano di intrappolarci in bolle di contenuti omogenei, escludendo esperienze inaspettate e sfidanti. L’introduzione di valutazioni semplificate come quelle di HBO Max sembra una naturale estensione di questo processo, riducendo la complessità dell’apprezzamento artistico a un semplice clic.
Ma cosa succede alla capacità di formare un’opinione ponderata e articolata? Quando la nostra reazione a un film o a una serie TV si riduce a un emoticon, perdiamo la possibilità di analizzare criticamente, discutere e confrontare le nostre impressioni. Il rischio è quello di una cultura appiattita, dove la profondità viene sacrificata sull’altare della velocità e della semplicità.
L’arte, in fondo, è spesso ambigua, provocatoria e richiede tempo per essere elaborata. Può essere scomoda, sfidare le nostre certezze e spingerci a confrontarci con prospettive diverse. Un sistema di valutazione binario, o anche ternario, fatica a cogliere queste sfumature e rischia di penalizzare le opere più complesse e innovative, favorendo invece i contenuti più facilmente digeribili.
Dovremmo quindi interrogarci sul ruolo che la tecnologia sta giocando nella formazione del nostro gusto e della nostra sensibilità. È fondamentale preservare la capacità di pensare in modo indipendente, di resistere alle semplificazioni eccessive e di cercare esperienze culturali che vadano oltre il comfort e la familiarità. Il rischio, altrimenti, è di diventare semplici ingranaggi di un sistema che ci priva della nostra autonomia intellettuale.

